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L'inchiesta

Omicidio nel Milanese risolto dopo 25 anni: il pentito siciliano fa i nomi di mandanti ed esecutori

Cinque arresti (fra cui un gelese). Tutti sono legati alla 'ndrangheta. Chi sparò in faccia alla vittima sarebbe uno dei boss del consorzio delle mafie

Laura Distefano

30 Novembre 2025, 02:25

10:06

Pistola, generico

Pistola, generico

 

«Se questo parla mi fa fare il segno della croce». Parlava così Massimo Rosi nel 2019 di Emanuele De Castro, il palermitano 'ndranghetista' che lo accusa di essere il sicario che ha sparato cinque colpi in faccia a Nicola Vivaldo nel 2000, a Rho, nel Milanese. Rosi è solo uno dei cinque destinatari della misura di custodia cautelare firmata dal gip milanese che ha accolto le richieste della Dda di Milano. Un'ordinanza di oltre 80 pagine che ha permesso di far luce su un omicidio rimasto irrisolto per 25 anni. Ed è stato proprio il pentito palermitano - convinto a diventare collaboratore dal figlio - a dare i tasselli mancanti del cold case. Non ricordava nemmeno il nome della vittima quando ne ha parlato la prima volta con i pm: ma i dettagli delle modalità, dei luoghi e del movente hanno fatto capire a chi si stesse riferendo. Vivaldo, già inserito nel traffico di droga gestito dalla 'ndrangheta,  sarebbe stato ammazzato perché «confidente dei carabinieri». L'ordine di uccidere Vivaldo - che dai racconti della moglie sarebbe un "battezzato" alla 'ndrangheta - sarebbe partito da Vincenzo Rispoli, il capo di Lo Castro e vertice della locale di Lonate Pozzolo. L'ordinanza è arrivata al boss della potente cosca di Guardavalle, Vincenzo Gallace, che da un po' è al 41bis. Gli altri due arrestati sono il gelese Stefano Sanfilippo e Stefano Scatolini.

 

Il gip di Milano ritiene attendibili le dichiarazioni del pentito siciliano. De Castro si accusa dell'omicidio di una persona di cui «non ricordava il nome, riferendo di avervi preso parte su preciso incarico di Rispoli». A volere la testa di Vivaldo ci sarebbe stato anche Vincenzo Gallace, vertice della mafia di Catanzaro. Una punizione in quanto ritenuto il responsabile di alcune operazioni di polizia condotte proprio nei confronti di diversi esponenti della cosca, che avevano portato, tra l'altro, all'arresto del latitante Francesco Aloi. Il gruppo di fuoco sarebbe stato composto da Rosi, Scatolini e lo stesso De Castro. Sanfilippo, perdipiù padrino del figlio della vittima, avrebbe avuto un ruolo logistico. Avrebbe fornito informazioni sui movimenti di Vivaldo, che all'epoca gestiva un bar di nome "Snoopy".

 

La credibilità di Lo Castro è stata certificata da diverse sentenze dei giudici, come quella per l'omicidio di Cataldo Aloisio. E ultimamente le sue dichiarazioni sono state portate dai pm all'udienza preliminare dell'inchiesta Hydra sul consorzio delle mafie - Cosa Nostra, 'ndrangheta e Sacra Corona Unita - in Lombardia. Rosi, a proposito, è fra gli imputati del maxi procedimento.