LA GUERRA IN UCRAINA
«Ritiratevi, o useremo la forza»: l’ultimatum di Putin a Kiev e la promessa, tutta politica, di non attaccare l’Europa
Il Cremlino chiude al cessate il fuoco, guarda solo a Washington e alza il prezzo: ritiro ucraino dall’Est, riconoscimento dei territori occupati e garanzie di sicurezza per l’Europa. Kiev chiede un faccia a faccia, gli Stati Uniti si offrono come mediatori: Mosca dice no.
All’ingresso del complesso Yntymak-Manas Ordo, a Bishkek, un addetto sistema il microfono pochi secondi prima che Vladimir Putin prenda la parola. Dietro di lui, le bandiere del Kirghizistan e della Federazione Russa. In mezzo, una frase che taglia l’aria come una lama: “Le truppe ucraine si ritireranno dai territori che occupano, e allora i combattimenti cesseranno. Se non si ritireranno, lo faremo con la forza militare”. È il cuore dell’ultimatum con cui il capo del Cremlino prova a ribaltare il tavolo negoziale, definendo “inutile” firmare qualsiasi accordo con la leadership di Kiev e aprendo, invece, a un confronto diretto solo con gli Stati Uniti. Un’apertura a metà: insieme al bastone — la minaccia d’intensificare la guerra — arriva la carota diplomatica, l’offerta di mettere “nero su bianco” che la Russia non ha “piani aggressivi contro l’Europa”. Ma è davvero una garanzia? Gli ultimi dieci anni dicono altro.
Cosa ha detto Putin a Bishkek
Nel punto stampa del 27 novembre 2025, Putin ha definito la bozza di proposta discussa tra Washington e Kiev un possibile “punto di partenza”, salvo condizionare qualsiasi cessazione delle ostilità al ritiro ucraino dall’Ucraina orientale e al riconoscimento internazionale delle conquiste territoriali russe. Ha inoltre ribadito che l’attuale vertice ucraino sarebbe “illegittimo”, sostenendo che firmare con Volodymyr Zelensky non avrebbe valore giuridico. In parallelo, ha garantito che la Russia sarebbe pronta a fornire all’Europa “assicurazioni formali” sulla propria non belligeranza. Il doppio registro — apertura tattica e rigidità sostanziale — è stato registrato dalle principali agenzie internazionali.
La cornice è quella delle discussioni in corso sulla famigerata bozza in 28 punti: un documento nascosto fino a pochi giorni fa, percepito da Kiev e da diverse capitali europee come eccessivamente favorevole alle richieste di Mosca (limitazioni alla NATO, riduzione delle forze armate ucraine, accettazione di fatto del controllo russo su territori occupati). Dopo i colloqui di Ginevra tra delegazioni di USA e Ucraina, la bozza è stata “aggiornata” in un quadro più articolato, ma resta lontana dall’essere un accordo.
Perché Mosca rifiuta di parlare con Kiev
Il messaggio politico è esplicito: il Cremlino non considera Kiev un interlocutore e privilegia un negoziato bilaterale con Washington. Nel suo intervento, Putin ha respinto l’ipotesi di un cessate il fuoco come base tecnica per i colloqui, rovesciando la sequenza: prima il ritiro ucraino, poi — eventualmente — il resto. Per Zelensky, che ha chiesto un incontro diretto, e per la Casa Bianca, che si è offerta come mediatrice di un vertice trilaterale, si tratta di un muro. Mosca ha risposto no. Sono posizioni confermate e contestualizzate dalla ricostruzione di Euronews, che riporta anche lo scetticismo russo verso qualsiasi formalizzazione con l’attuale governo ucraino.
La cornice negoziale: cosa resta del “piano USA”
Mentre a parole Putin dice di vedere “qualcosa di utile” nella bozza, nei fatti la irrigidisce: chiede il ritiro ucraino non solo dal Donetsk e dal Luhansk, ma anche dalle parti delle regioni di Kherson e Zaporizhzhia ancora sotto controllo di Kiev; inoltre, pretende di vincolare l’Ucraina a non entrare in NATO e a non ospitare forze occidentali. È la fotografia scattata da fonti AP, Reuters e da una diretta del Guardian, secondo cui Mosca non nasconde l’obiettivo di ottenere, per via negoziale, ciò che non controlla ancora per intero sul terreno.
Dopo le prime reazioni negative europee, i colloqui di Ginevra hanno prodotto un’“impostazione aggiornata”, più attenta alla sovranità ucraina. Lo ha ufficializzato una nota congiunta diffusa dalla Casa Bianca il 23 novembre 2025: “progressi significativi”, “prossimi passi” e, soprattutto, riaffermazione che ogni intesa deve “pienamente tutelare la sovranità dell’Ucraina”. Ma la strada è stretta e la versione “aggiornata” ridurrebbe davvero alcuni punti controversi senza sciogliere i nodi principali: territori, garanzie di sicurezza e architettura europea.
Intanto, da Bruxelles e dalle capitali europee è arrivato un messaggio chiaro: nessun accordo “a due” che ridisegni la sicurezza del continente senza l’Unione europea e senza la NATO. Dopo giorni di pressioni, leader e ministri hanno insistito affinché Europa e Kiev siedano al tavolo. Un briefing del Parlamento europeo ha sintetizzato la linea: pace “giusta e duratura”, pieno coinvolgimento dell’UE nelle questioni che la riguardano direttamente, dalle sanzioni agli asset congelati.
La promessa di “non attaccare l’Europa”: parole e precedenti
“Se l’opinione pubblica vuole sentirsi dire che non abbiamo intenzioni aggressive verso l’Europa, siamo pronti a confermarlo in qualsiasi forma.” È la frase con cui Putin ha cercato di rispondere alla crescente inquietudine europea. Il messaggio si inserisce in una narrativa già vista: nel 2024, a ridosso dell’invio di F-16 a Kiev, lo stesso Putin bollò come “nonsenso” l’idea di attacchi a Paesi NATO, pur minacciando le basi che avessero ospitato quegli aerei. E a settembre 2025, il ministro degli Esteri Sergej Lavrov ribadì all’ONU che Mosca “non ha intenzione di attaccare l’Europa”, avvertendo però che avrebbe risposto “in modo decisivo” a qualunque aggressione. La coerenza con i fatti resta materia di valutazione: la Russia negò intenzioni offensive anche nel 2014 e nel 2022, prima di muovere in Crimea e oltre il 24 febbraio 2022.
Il ruolo degli Stati Uniti: mediazione o regia?
La Casa Bianca ha confermato che i colloqui con l’Ucraina a Ginevra sono stati “produttivi” e che l’aggiornamento del quadro negoziale proseguirà “nei prossimi giorni”. Ma in parallelo, Putin ha annunciato la prossima visita a Mosca dell’inviato speciale Steve Witkoff: una figura finita sotto i riflettori per un audio trapelato in cui dispensava consigli a un collaboratore del Cremlino. La dinamica — trattativa canalizzata su un binario USA–Russia, con Kiev e l’UE a rimorchio — preoccupa molte capitali europee, che chiedono di essere parte integrante del disegno di sicurezza, dalle garanzie per l’Ucraina all’uso degli asset russi congelati.
Kiev tra fermezza e pragmatismo
Il presidente Volodymyr Zelensky ha mantenuto una linea duplice: disponibilità a un incontro diretto, anche in formato trilaterale con Washington e Mosca, ma rifiuto di concessioni che violino la sovranità e l’integrità territoriale. Negli ultimi mesi, Kiev ha bollato alcune bozze del Cremlino come “spam diplomatico”, accusando Mosca di usare i negoziati per guadagnare tempo. Quando Putin ha proposto un incontro “solo a Mosca”, la risposta ucraina è stata netta: “inaccettabile”, con alternative in Austria, Santa Sede, Svizzera e Golfo. Il filo conduttore resta quello: sì al dialogo, no al diktat territoriale.
Sul tavolo, inoltre, ci sono i dossier che Kiev ritiene non negoziabili: garanzie di sicurezza credibili, libertà di navigazione nel Mar Nero, protezione delle infrastrutture energetiche e una cornice economica per la ricostruzione. La nota congiunta USA–Ucraina parla di “impostazione aggiornata” che incorpora molte delle preoccupazioni ucraine, ma il diavolo sta nei dettagli: per Putin, senza ritiro ucraino e riconoscimento dei territori occupati, non c’è trattativa.

L’Europa reclama il suo posto
In Europa, il dibattito corre su due binari: politica e finanza. Politica, perché diversi leader — dalla Germania alla Francia, dal Regno Unito ai Paesi Bassi — chiedono che UE e NATO non siano comparse in un negoziato che ridisegna la sicurezza continentale. Finanza, perché la partita include l’uso degli interessi maturati (e, in prospettiva, degli asset russi congelati) per sostenere Kiev: un progetto che suscita cautele in operatori cruciali come Euroclear, preoccupati per l’impatto sui mercati e sulla reputazione finanziaria europea. Nel frattempo, Bruxelles prepara testi per prestiti garantiti da quei fondi, mentre Mosca minaccia ritorsioni in caso di “confisca”.
Cosa cambia sul terreno
Al netto delle dichiarazioni, il campo di battaglia resta il giudice ultimo. Secondo analisi citate dalle agenzie, i progressi russi sono stati negli ultimi mesi “lenti e costosi”; l’Ucraina, colpita da bombardamenti e droni, affronta pressioni militari e finanziarie ma non rinuncia a difendere le linee e a rafforzare la propria difesa aerea. Qui sta il paradosso: Mosca chiede a Kiev di ritirarsi da aree che non controlla del tutto, mentre l’Ucraina rivendica la difesa dei propri confini riconosciuti internazionalmente. Il margine per una formula che non sembri una capitolazione unilaterale resta stretto.
Le prossime mosse: una diplomazia a orologeria
- Entro i prossimi giorni, sono attesi ulteriori contatti USA–Ucraina per affinare il “quadro aggiornato” di Ginevra. La Casa Bianca parla di “passi successivi” e di consultazioni strette con i partner europei.
- Mosca prepara a ricevere l’inviato speciale Steve Witkoff: un test della reale volontà di Kremlino e Washington di misurarsi su un terreno comune che, al momento, appare limitato.
- Le istituzioni UE accelerano su sanzioni, asset congelati e garanzie a Kiev, cercando di non farsi tagliare fuori dal tavolo.
La sostanza politica dietro la retorica
Il messaggio di Putin è costruito per più pubblici:
- All’opinione pubblica europea, offre la rassicurazione di non voler “attaccare l’Europa”, provando a incrinare il consenso transatlantico e a dipingere Mosca come attore “responsabile” disposto a firmare impegni scritti. Ma la credibilità è minata dai precedenti e dal fatto che la minaccia militare resta sul tavolo.
- Agli Stati Uniti, chiede un canale privilegiato, nel tentativo di isolare Kiev e marginalizzare l’UE, imponendo che i nodi centrali — territori e NATO — si decidano bilateralmente.
- All’Ucraina, lancia un aut-aut: ritiro dall’Est o guerra “fino al conseguimento degli obiettivi”. È il linguaggio della forza travestito da “opzione di pace”.
Per Zelensky, la scommessa è tenere insieme fermezza e pragmatismo: non perdere l’appoggio americano ed europeo senza cedere sull’essenziale. Da qui l’insistenza su garanzie di sicurezza robuste e su un processo che non preveda riconoscimenti territoriali unilaterali.
Che cosa significa “negoziare solo con Washington”
È più di un vezzo geopolitico. Concentrando i riflettori su Washington, Mosca prova a trasformare la guerra in un dossier di “sicurezza strategica” globale, dove si scambiano sfere d’influenza e linee rosse. È un frame noto dalla Guerra fredda, ma non fotografa il 2025, quando l’Unione europea ha capacità, interessi e strumenti che la rendono parte necessaria della soluzione. Non a caso, i governi europei hanno reagito con durezza all’ipotesi di un negoziato “a due” su questioni che toccano sovranità, sanzioni, architettura NATO e uso degli asset russi.
In controluce: il fattore tempo
Nel frattempo, il tempo lavora per chi può permettersi di attendere. Mosca punta a consolidare sul campo e a far maturare un consenso “di fatto” su una nuova linea di contatto; Kiev conta su aiuti, produzione di munizioni europea e sull’erosione della capacità aggressiva russa; l’UE corre per tradurre in azione le intenzioni politiche; Washington cerca un equilibrio tra la promessa di “finire la guerra” e il rischio di imporre a Kiev scelte indigeste. In questo equilibrio precario, la dichiarazione di Putin — “non attaccheremo l’Europa” — appare come un tassello di narrativa, più che un pilastro di sicurezza.
Cosa guardare adesso
- Se l’aggiornamento della bozza negoziale manterrà i principi di “pace giusta e duratura” — niente cambi di frontiera per forza, niente “capitolazione mascherata”, piene garanzie di sicurezza — oppure se tornerà, sotto altro nome, a chiedere a Kiev il ritiro e il riconoscimento delle perdite territoriali.
- Se l’Europa riuscirà a entrare nella “stanza dei bottoni” del negoziato con una proposta coerente su garanzie, difesa e asset russi, evitando di essere spettatrice.
- Se Washington accetterà il format bilaterale caro a Mosca o imporrà un tavolo allargato a Kiev e ai principali partner europei.
In chiusura, la scena di Bishkek resta potentissima: una richiesta massima — il ritiro ucraino — accompagnata da una promessa minima — non attaccheremo l’Europa. Fra i due estremi si gioca la partita vera: se la pace che verrà sarà un compromesso sostenibile o la ratifica di un fatto compiuto. Oggi, più che mai, la differenza la faranno i dettagli — e chi siederà davvero a quel tavolo.