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LA PROTESTA

La Cgil, lo sciopero generale del 12 dicembre contro la Manovra e la polemica di Meloni: «Indovinate in che giorno cadrà?»

Il sindacato chiede risorse aggiuntive per rinnovi contrattuali credibili, una detassazione degli aumenti valida per tutti i contratti (pubblici e privati) e la restituzione del cosiddetto fiscal drag

Alfredo Zermo

07 Novembre 2025, 14:40

18:14

La Cgil, lo sciopero generale del 12 dicembre contro la Manovra e la polemica di Meloni: «Indovinate in che giorno cadrà»

La scena è insolita per un’assemblea sindacale: al Mandela Forum di Firenze, mentre scorrono i dati sull’andamento dei salari reali, si alzano in contemporanea centinaia di smartphone. È il momento esatto in cui Fulvio Fammoni, presidente dell’Assemblea generale della Cgil, pronuncia la formula che accende l’autunno sociale: sciopero generale il 12 dicembre. Un venerdì. Una scelta che fa esplodere i commenti in rete e scatena la reazione ironica della presidente del Consiglio Giorgia Meloni (“Indovinate in che giorno cadrà il 12 dicembre?”), a cui si accoda il vicepremier Matteo Salvini. Mentre la polemica sul “venerdì lungo” divampa sui social, il più grande sindacato italiano sposta il baricentro del dibattito su un punto: la Manovra 2026 va cambiata, perché non alza i salari, non tutela abbastanza la sanità pubblica e privilegia priorità (come la difesa) che i lavoratori sentono lontane dalla loro emergenza quotidiana.

Cosa ha deciso la Cgil a Firenze

La decisione di proclamare lo sciopero generale è maturata nell’assemblea nazionale dei delegati della Cgil riunita a Firenze. L’annuncio dal palco, affidato a Fulvio Fammoni, è stato accompagnato dal calendario delle iniziative territoriali che confluiranno nella giornata del 12 dicembre, con manifestazioni diffuse nelle principali città. L’assemblea si è chiusa con l’intervento del segretario generale Maurizio Landini, che ha motivato la scelta con parole nette: la legge di bilancio è “ingiusta e sbagliata” e “la vogliamo cambiare”, perché non affronta l’emergenza numero uno: il salario. La Cgil chiede risorse aggiuntive per rinnovi contrattuali credibili, una detassazione degli aumenti valida per tutti i contratti (pubblici e privati) e la restituzione del cosiddetto fiscal drag.

Perché proprio ora: il nodo della Manovra 2026

Il Governo ha licenziato a metà ottobre il disegno di legge di bilancio per il 2026, stimato in circa 18–19 miliardi di interventi, da discutere e modificare in Parlamento entro fine anno. Tra le misure più rivendicate dall’Esecutivo figurano il taglio della seconda aliquota Irpef dal 35% al 33% per i redditi fino a 50 mila euro, un pacchetto famiglia (bonus mamme lavoratrici, revisione Isee), il rifinanziamento della sanità con risorse aggiuntive e incentivi agli investimenti delle imprese. Ma su questo impianto si addensano i rilievi dei sindacati: le risorse su salari e sanità sono giudicate insufficienti, mentre cresce la spesa per difesa e sistemi d’arma, e si inseriscono nuove imposte su banche e assicurazioni per oltre 11 miliardi tra il 2026 e il 2028.

Secondo fonti governative e documenti programmatici, la Manovra contiene:

  • il taglio dell’aliquota Irpef dal 35% al 33% nel 2026, con una dote pluriennale;
  • risorse addizionali per la sanità nell’ordine di circa 2,4–2,5 miliardi per il 2026, oltre ai rifinanziamenti già previsti;
  • misure per famiglie e natalità (bonus mamme, carte per beni di prima necessità), revisione di alcune regole Isee, proroghe fiscali (ad esempio su plastic e sugar tax) e incentivi agli investimenti;
  • un aumento graduale della spesa per difesa nel triennio, con stime che indicano un incremento fino a circa 0,5% del Pil nel 2028 se i vincoli europei lo consentiranno, e programmi di procurement che rafforzano industria aerospazio-difesa.

È su questa combinazione che la Cgil promette di dare battaglia: più risorse certe su salari e contratti, sanità e servizi, meno spinta sulla leva della spesa militare, più attenzione alla redistribuzione e al potere d’acquisto eroso dall’inflazione.

Le rivendicazioni

Nel suo intervento, Maurizio Landini ha fissato le priorità. La prima è il salario, definito “l’emergenza fondamentale”: in un Paese in cui i salari reali sono compressi da anni e l’inflazione degli ultimi esercizi ha mangiato gli aumenti, la detassazione degli incrementi contrattuali e dei premi di risultato deve essere generalizzata, non a pioggia ma a sostegno dei rinnovi e senza tetti che creino disparità tra pubblico e privato. La seconda è la sanità pubblica: i 2,4–2,5 miliardi aggiuntivi per il 2026 vengono ritenuti insufficienti rispetto a liste d’attesa e carenze di personale. Infine, la richiesta di restituire il fiscal drag: il mancato adeguamento di detrazioni e scaglioni all’inflazione ha generato, secondo la Cgil, un prelievo occulto che ha colpito soprattutto lavoratori dipendenti e pensionati.

La piattaforma di mobilitazione include anche il sostegno alle principali vertenze di rinnovo dei Contratti collettivi nazionali di lavoro scaduti: dal settore delle farmacie all’igiene ambientale, dalla sanità privata ai meccanici, dall’industria cartaria alle telecomunicazioni. L’obiettivo dichiarato è “difendere e rafforzare il potere d’acquisto” e dare risposte concrete a migliaia di lavoratori in attesa di nuovi contratti.

La contro-narrazione del governo

Dal lato dell’Esecutivo, la lettura è opposta. Giorgia Meloni ha rivendicato una legge di bilancio “seria, equilibrata e responsabile”, che “prosegue sul solco delle priorità: famiglia e natalità, riduzione delle tasse, sostegno a imprese e sanità”. Il Governo sottolinea la riduzione dell’Irpef come misura-ponte per consolidare la crescita dei redditi netti e il rifinanziamento della sanità per affrontare la coda lunga dell’inflazione sanitaria e delle liste d’attesa. Nel racconto di Palazzo Chigi, inoltre, gli interventi su banche e assicurazioni servirebbero a garantire sostenibilità dei conti senza “stangate” generalizzate, mentre su difesa si parla di impegni pluriennali coerenti con gli obblighi internazionali.

Da qui lo scontro politico, acuito dalla scelta del venerdì per lo sciopero e dalle frecciate social della stessa Meloni e del vicepremier Salvini, che accusano la Cgil di cercare “weekend lunghi” più che risultati. Una polemica già vista in altre stagioni ma che dice molto del clima: nessuna convergenza sul merito, conflitto frontale anche sulla forma.

Non solo Cgil

Il 12 dicembre non è l’unica data segnata in rosso. Nel frattempo i sindacati di base hanno già messo in calendario una giornata di sciopero generale per il 28 novembre, segno di una conflittualità crescente e di un fronte sindacale non perfettamente allineato sui tempi e sulle piattaforme. La dinamica non è nuova: già nel 2024 Cgil e Uil avevano scioperato insieme contro la precedente Manovra, mentre le sigle di base si muovevano su coordinate proprie. Ma la Cgil rivendica il proprio perimetro: si tratta, sostiene, di portare in piazza il cuore delle vertenze contrattuali e la domanda di redistribuzione che attraversa lavoratori e pensionati.

L’impatto potenziale: trasporti, scuole, sanità, industria

Uno sciopero generale indetto dalla Cgil tende a riverberarsi su un ampio spettro di servizi:

  • nei trasporti (ferroviario, locale, aereo) il tasso di adesione dipenderà dagli accordi e dalle fasce di garanzia;
  • nella scuola e nella Pa l’effetto è storicamente significativo, specie quando la mobilitazione incrocia il tema dei rinnovi contrattuali;
  • nella sanità, in presenza di servizi essenziali, lo sciopero si misura più sulla partecipazione ai presìdi e alle manifestazioni che sull’interruzione delle prestazioni;
  • nell’industria, il peso varia per filiere e territori, con picchi nelle aree a forte presenza manifatturiera e dove sono aperte vertenze sui contratti.

La Cgil annuncia iniziative territoriali in tutte le regioni (il sindacato scenderà in piazza anche in Sicilia contro il governo Schifani)  con l’obiettivo di trasformare il 12 dicembre in una giornata di pressione diffusa nelle sedi istituzionali e nelle prefetture, mentre il Parlamento entra nel vivo dell’iter emendativo della Manovra. La finestra temporale è decisiva: nelle settimane tra fine novembre e metà dicembre, i saldi e i capitoli di spesa vengono riscritti riga per riga.