La storia
Rosa Balistreri, Queen, Puccini e i Beatles i loro pezzi diventano ninne nanne
Lullaby, l'ultimo lavoro di Luciana Di Bella, soprano alcamese. "Porto in scena il sogno e la tenerezza del "bambino interiore" che è in tutti noi". L' esperienza dello stalking: "Ne sono stata vittima ma ho denunciato e vinto. La musica il rifugio per rinascere"

Luciana Di Bella
Da piccola non aveva bisogno di ninne nanne per addormentarsi, né di essere cullata o di avere la luce accesa sul comodino. Forse già questo serve a intuire la personalità di Luciana Di Bella, alcamese doc, soprano “trasversale” che rifiuta di incasellarsi in un genere musicale e spazia con naturalezza dal jazz al rock. Eppure le ninne nanne l’hanno sempre seguita e tuttora la seguono.
Al Bloomsbury Theatre di Londra ha cantato una scaletta tutta di ninne nanne, “Lullaby” (che significa proprio ninna nanna) in cui da Puccini a Rosa Balistreri, dai Queen a Gershwin, ha riletto assieme a Massimiliano Pace il genere più emotivo che ci sia, quei canti di cui tutti i bambini - se non altro i più fortunati - si sono nutriti. Una sorta di “madeleine” musicale che scatena ricordi e suggestioni anche nei cuori più duri e puri.
«L’idea della ninna nanna viene da una vera ispirazione - racconta Di Bella dalla sua casa di Londra, dove vive -. Io le cantavo a mia sorella che aveva 10 anni meno di me, “Buonanotte fiorellino”, “Carissimio Pinocchio”, i Queen i “Guns N’ Roses”...»
E la Siminzina?
«Sono legata alla figura di Rosa Balistreri ma nella Siminzina ci ho trovato un po’ il senso del viaggio che mi appartiene. Era un canto di “spartenza”, di separazione, questi padri partivano, andavano in guerra, in mare o a lavorare in America, in Germania... Spesso non tornavano più e nel canto c’era questa illusione del padre che prima o poi sarebbe ritornato. In realtà spesso non accadeva, anzi capitava che si facessero nuove famiglie altrove».
Ma l’idea delle ninne nanne al centro di un concerto com’è nata?
«Io non ho figli, però mi è successo tante volte che bambini di amiche mie si addormentassero fra le mie braccia pur non avendomi mai visto, manifestandomi una fiducia e un abbandono che mai avrei immaginato. Questa fiducia mi ha intenerito moltissimo e da lì ho iniziato a pensare a quanto ci portiamo dentro in età adulta di questa fiducia, di questa apertura, e ho dato voce al bambino interiore che è in tutti noi. Di qui l’ idea del disco di ninne nanne ma non solo come canzone scacciapensieri per bambini, ci sono anche pezzi che affrontano problematiche un po’ più oscure, la guerra, l’olocausto, la violenza...».
Cosa voleva fare da piccola?
«La giornalista o l’archeologa. Però mia madre dice che prima di camminare e parlare già cantavo. Mio padre ascoltava tanta musica e sotto casa quand’ero piccolissima c’era un negozio di dischi che era una sorta di “passaggio obbligatorio”, c’era il signor Filippo che ci proponeva ogni volta le nuove uscite».
E quando la musica è diventata il suo lavoro?
«A 13 anni mio fratello aveva una band, suonava la batteria e mi convinse nonostante la timidezza, a diventare la voce del gruppo, da lì non ho mai smesso. Ho passato la mia adolescenza fra sale prove, gruppi e cori. Poi ho frequentato la scuola di jazz e sperimentazione vocale, e il conservatorio a Palermo e a Trapani».
Quando ha deciso di andare all’estero?
«Sono stata sempre una viaggiatrice, Bologna, Roma, Monaco, Los Angeles, Norvegia, andavo e tornavo dalla Sicilia, pensavo di poter gestire questa modalità, fare esperienza all’estero, raccogliere le energie e portarle sul territorio, però poi c’è stato un momento in cui ho capito che le mie energie come artista si stavano esaurendo non trovavo spazi. Avevo un’associazione culturale ma mi rendevo conto che i progetti andavano avanti fino al punto in cui rimbalzavano su un muro di gomma per tornare indietro».
Quindi si è trasferita a Londra?
«In realtà ho dovuto attraversare un’esperienza infausta, sono stata vittima di stalking, quando ancora di questo reato di parlava poco. Avevo questa persona che mi inseguiva e si appostava ovunque, non sapevo più come proteggermi. Mia madre mi spinse a denunciare, ma quasi alla cieca e siamo finiti a processo, uno dei primi per stalking. Il mio terrore era di non trovare magistrati pronti ad ascoltarmi, invece il giudice fu estremamente attento e rigoroso. Vinsi il processo ad Alcamo, ma la mia vita è stata comunque devastata per 15 anni. Lui è stato perfino capace di far scrivere un articolo sul giornale contro di me».
Cosa le ha lasciato questa violenza?
«Il famoso disturbo post-traumatico da stress me lo sono portato dietro per un pezzo, ma di questa storia ho iniziato a parlarne, perché ho capito che era giusto farlo, sia per senso civico, sia per far conoscere questo fenomeno. Per quanto se ne parli tantissimo, non è ancora abbastanza. Io sono sopravvissuta a uno che voleva buttarmi fuori in autostrada, che mi ha minacciato di morte per anni, che mi ha distrutto economicamente e ancora oggi c’è chi dice “Eh, ma chissà cosa gli avrai scatenato...”».
Questa sua esperienza negativa l’ha messa a disposizione di altre?
«In Sicilia mi sono offerta, ma mi è stato detto di no. Mi hanno risposto “Sai ci vogliono persone specializzate...”, c’è stata una chiusura, allora ho aiutato per conto mio. Insegno canto alle ragazze e spesso mi accorgo che hanno problemi del genere, entrano in situazioni complicate, in Sicilia come a Londra, ormai riconosco i segnali di disagio e cerco di dare dei consigli. Dopo questa esperienza comunque sono rimasta in Sicilia, non sono scappata. A un certo punto però ho avuto bisogno di sapere chi fossi lontano da qui, e sono venuta a Londra nel 2016».
E com’è andata?
«È stato difficile, non avevo un piano. Misi annunci per lezioni di canto on line e il giorno dopo con mia grande sorpresa ho avuto già un riscontro. Mi precipitai a comprare una tastiera a Camden, i primi soldi in mano che avevo guadagnato ce li ho ancora davanti agli occhi, è stato il momento in cui ho realizzato che avevo “esportato” il mio mestiere».
Come cantante come si definirebbe?
«Una “suonatrice di voce”. Sono un soprano, una cantante lirica - che è quello in cui mi sono focalizzata di più - ma non ho mai abbandonato la mia esperienza con jazz, pop e altri generi musicali. In fondo la canzone di oggi è l’evoluzione dell’aria antica, cambia il linguaggio ma è la stessa cosa, non vedo l’esigenza di mantenere categorie così rigorose, trovo che Bach fosse molto jazz se non rock. Le fioriture barocche che cosa sono se non una forma di “scat”? Per me Monteverdi era heavy metal, e pure senza elettronica, la potenza di una sua overture è spaventosa».
Com’è la Sicilia vista da Londra?
«Bellissima, riesci a vedere molto di più, capisci anche quanti condizionamenti viviamo. Certo l’abbiamo imbruttita con la speculazione edilizia e la distruzione dell’ambiente, ma tutto sommato sono ancora ottimista nonostante le incazzature che mi prendo tutte le volte che scendo dall’aereo e vedo il famoso “munzeddu” di spazzatura, mi fa soffrire».
Dove si vede da qui a 10 anni?
«Fra Londra, Roma e la Sicilia, vorrei dividermi su queste tre direttrici con i miei progetti. La Sicilia per me è centrale, non è un posto che ho lasciato indietro, è una parte di me che mi completa».