il caso
L'agente penitenziario picchiato in carcere: «Siamo mucche al macello, ho pensato di morire»
La testimonianza dopo il pestaggio in una cella a Cavadonna. «Ha spaccato 4 gambe di tavolo su di me e mi urlava: ti ammazzo»
«Siamo mucche al macello». La voce di Giulio (nome di fantasia per tutelarne identità e incolumità) si rompe, nel ricordare cosa gli è accaduto nel blocco 10 del carcere di Cavadonna. Lo racconta in esclusiva a La Sicilia, ed è sotto choc. Anche perché a lui la testa, proprio come una vacca al macello, hanno provato a spaccargliela davvero a colpi di gamba di tavolo: otto volte sulla faccia, sulla tempia, sulla testa. «E il detenuto mi urlava “ti ammazzo”.
Cosa le fa più male?
«Aver dovuto mentire al mio bambino. “Papà, chi ti ha fatto la bua?” mi ha chiesto accarezzandomi la faccia massacrata. Gli ho mentito: sono caduto dalle scale. Non posso dirgli che papà e rimasto per terra inerte mentre tentavano di ucciderlo».
Cosa prova dentro di sé?
«Sento tutto il peso del danno psicologico. Da una parte la rabbia immensa, dall’altra quelle immagini che non smettono di passarmi davanti agli occhi da 24 ore. Stanotte deliravo: perché a me? Cosa ho fatto? Risento quelle bastonate in testa, e la sua voce: “Ti uccido”. Ed io sono uno in grado di difendersi, preparato fisicamente, ma un altro sarebbe morto sotto i colpi».
Che effetto le fa dover tornare all’istituto?
«Sono formato e preparato a tutto, ma gestire certe situazioni è difficilissimo. In questo momento nella mia testa c’è un turbinio di rabbia e orgoglio ferito. Chiederò di lavorare fuori da quella sezione».
Cosa non ha funzionato?
«Mi spiace dirlo, ma l’Amministrazione ti lascia solo. Non siamo tutelati, non abbiamo un manganello, non un taser, facciamo turni massacranti. Sappiamo di entrare al lavoro, ma non se ne usciremo vivi».
Cosa è successo?
«Vedo la cattiveria di quel detenuto che ripete “ora ti ammazzo”. Sono stato spinto in una cella, gettato per terra e colpito. Ha spaccato 4 gambe di tavolo su di me. Ho provato a tranquillizzarlo, ma quello ha continuato con più violenza. Un altro detenuto mi teneva da dietro. Ero solo nelle loro mani, nessuno è arrivato a salvarmi. Non so se mi ha aiutato Dio o il desiderio di rivedere mio figlio».
C’è stato un momento nel quale ha pensato “sto per morire”?
«Sì. Quando oltre ai due si è creato un capannello di 8 persone che ci ha accerchiato. I detenuti tra loro si aiutano, ed ho pensato “è finita”. Forse però hanno capito che ero l’aggredito e non l’aggressore. Non mi hanno “scassato” solo per questo”.
Se potesse parlare guardando il ministro della Giustizia negli occhi, cosa gli direbbe?
«Deve solo ringraziarci, perché lavoriamo nello schifo completo. Nonostante tutto non ci dimettiamo anche se non abbiamo diritti, e ci rechiamo al lavoro come carne da macello. Questo siamo. Non siamo tutelati, come lo sono polizia e carabinieri. Non abbiamo i mezzi per lavorare in sicurezza».
E’ tutto?
«Per capire cosa proviamo noi bisognerebbe passare anche solo un giorno al posto nostro. Da una poltrona, non si capisce».
Quanto è durato il suo incubo?
«Non lo so, ma so che gli aiuti sono arrivati dopo almeno un quarto d’ora che urlavo. Ero solo… (gli trema la voce, ndr), abbandonato a me stesso».
Ha pensato di reagire durante il pestaggio?
«Se un poliziotto reagisce, passa i guai. È impossibile difendersi».
Sulla vicenda i sindacati di categoria sono subito intervenuti. «Nel carcere di Siracusa mancano almeno 70 unità, come nelle altre del territorio – conteggia Salvo Alota, segretario Fns Cisl – Bisogna dare più potere alla polizia penitenziaria, perché le aggressioni sono quotidiane. Mancano i sottufficiali, e bisogna capire che gli aggressori vanno allontanati dagli istituti della provincia».
Per Giuseppe Argentino, segretario provinciale Osapp, «alcuni detenuti violenti si sentono protetti da tutta una serie di garanzie che le Istituzioni hanno messo loro a disposizione. Questi detenuti vanno isolati. Bisogna scegliere. O si finta che nulla accada, oppure le aggressioni vanno considerate come atto terroristico». Intanto il segretario Ust Cisl Giovanni Migliore ha chiesto un incontro urgente al direttore di Cavadonna per avere risposte chiare su quale sia la destinazione dei 60 nuovi agenti destinati alle carceri del territorio.