La storia
Flavia, morta dentro l’auto: assolti i due seduti davanti. «Ma allora chi guidava?»
Il tragico incidente a Catania nel 2015. Due assoluzioni e nessuna verità. La madre: «Giustizia assurda, il responsabile si faccia avanti»
Non è uno scioglilingua purtroppo. È il caso giudiziario che gira attorno alla morte di Flavia Magro, avvenuta il 24 marzo 2015 al viale Africa di Catania, a seguito di un tragico incidente (autonomo). La giovane giarrese era seduta sui sedili posteriori di un’Alfa Romeo Mito, davanti c’erano altri due giovani. Chi era al volante dopo un sorpasso azzardato all’altezza di piazza Galatea - così è scritto nelle carte del processo - andò a schiantarsi sul marciapiede. Il cuore di Flavia si fermò. L’impatto fu fatale per lei. Quando arrivarono i soccorritori però nessuno si prese la responsabilità: i due passeggeri, il proprietario dell’auto rimasto lievemente ferito, e l’altro (illeso) si accusarono l’un l’altro.
Perizie, test, esami del Dna sulle tracce ematiche trovate sull’airbag. Il primo ad affrontare il processo è il proprietario della Mito: c’era anche la corrispondenza con il Dna. Ma il giudice, al termine del dibattimento, ha ritenuto non ci fossero prove sufficienti per sostenere che quel giorno ci fosse lui alla guida. E ha rimandato gli atti al pm avanzando l’ipotesi che il conducente fosse l’altro passeggero. Così è cominciato il secondo processo: la sentenza finale però contraddice la prima. L’imputato va assolto. Per il Tribunale doveva essere condannato quello già assolto.
Diciassette pagine di sentenza che per la mamma di Flavia sono diventate un altro lutto. «Mia figlia è stata ammazzata ancora due volte. Questa è un’ingiustizia assurda e intollerabile», racconta Maria. La madre, assieme al papà Marcello e al fratello Gianluca, non riesce a darsi pace. Sono tanti gli interrogativi che la famiglia Magro si è posta in questi lunghi anni. «Io non ho mai capito perché non li hanno processati tutti e due assieme. A quel punto ci sarebbe stato un colpevole. E non avremmo avuto questo epilogo assolutamente inaccettabile».
A questo punto non si può più tornare indietro. «Io voglio sapere chi guidava quella notte. Voglio sapere chi l’ha uccisa. Non mi interessa più avere una sentenza, ma voglio la verità. Uno dei due deve assumersi la responsabilità della morte di mia figlia». Nessuno in questi dieci anni si è fatto avanti. «Nemmeno una lettera anonima con scritto “ci dispiace” mi è stata scritta», racconta Maria.
«Commentare quanto accaduto è veramente difficile perché occorre anche essere bravi nel misurare le parole», dice l’avvocato Francesco Marchese che ha seguito i familiari di Flavia. «Premetto che entrambi i processi li ho vissuti da difensore delle persone offese, in quanto gli eredi della ragazza non potevano costituirsi parte civile essendo già stati risarciti dall'assicurazione e quindi personalmente ho soltanto potuto assistere, come previsto dal codice di procedura penale, ai dibattimenti senza potere mai intervenire se non, come previsto dalla legge, con memorie al pm. Certamente è una sconfitta della giustizia italiana - argomenta il legale - scoprire che due imputati, per lo stesso fatto, in due diversi procedimenti, di cui uno certamente colpevole, siano stati entrambi assolti per non avere commesso il fatto quando è sicuro che almeno uno dei due il fatto lo ha commesso. Sto valutando insieme alla famiglia se sussistano i presupposti per intraprendere altre azioni, ovviamente solo risarcitorie, ma tutto questo richiederà uno studio della vicenda che si presenta come un'assoluta novità nel panorama del diritto italiano, anche perché non credo che vi siano precedenti cui fare riferimento nella storia giudiziaria italiana, quanto meno a mia memoria. Resta l'amarezza di una famiglia - conclude Marchese - che ha perso una figlia e alla quale lo Stato italiano per mano dei suoi giudici non è riuscito a garantire una sentenza che accertasse il vero responsabile».