il dialogo
Palermo, la sua bellezza nascosta e il dovere di cercarla: ecco il forum di "La Sicilia"
Linguaggi, arte e impegno civile a confronto: gli interventi sul capoluogo nella nostra redazione palermitana
La bellezza di Palermo: nascosta tra le pieghe della sua lingua o dei suoi scorci, da cercare e riconoscere, ma anche da perdonare. Il debutto del forum lanciato da La Sicilia nella sua redazione palermitana ruota tutto intorno al bello che è possibile vedere nel capoluogo regionale. Alla tavola rotonda sono presenti il sindaco Roberto Lagalla, il presidente di Fondazione Sicana Giuseppe Di Forti, il padre gesuita Francesco Cavallini, il sovrintendente del Teatro Massimo Marco Betta, l'attore e "cuntista" Salvo Piparo, il puparo Antonio Tancredi Cadili. L'incontro è coordinato dal direttore di La Sicilia Antonello Piraneo e dal responsabile della redazione palermitana Accursio Sabella.
«Scegliere di vedere»
La prima domanda rivolta al sindaco Lagalla è ovviamente sulla bellezza di Palermo, a volte un po' nascosta ma a volte non riconosciuta dagli stessi palermitani. «Esiste una verità - dice Lagalla - nella misura in cui siamo disposti a seguirla e a essere generosi verso la città e verso noi stessi. Questi è il segreto della bellezza, che fa la differenza tra il guardare e il vedere. "Vedere" è darsi lo sforzo di andare dentro le cose e credo che Palermo meriti tutti questo, una visione più indulgente dai parte dei suoi cittadini. Oggi Palermo a prescindere da meriti delle amministrazioni, e grazie allo sforzo fatto in concomitanza alle tragedie delle grandi guerre di mafia, inizia a porsi gli stessi problemi delle altre aree metropolitane d'Italia, senza ovviamente abbassare la guardia. Ma arriva a questo appuntamento con una dote storica di cultura, convivenza, tolleranza che le altre città non hanno».
Lagalla poi mette a confronto Palermo con le altre aree metropolitane d'Italia: «Se noi corriamo gli altri non stanno fermi, a Palermo ci sono gap che sembrano migliorare poco ma sono i trend che vanno valutati, e questa città li ha in crescita su turismo, industria digitale, persone che la scelgono, ma anche ombre come la cultura mafiosa che stenta a eradicarsi, un ritardo di formazione su aree della città che condiziona le scelte dei giovani e li rende schiavi della violenza e della mafia. Questo è il lavoro da fare, ma sempre pensando che la bellezza c'è, esiste».
Racconta la sua Palermo vissuta in prima linea, dallo spazio La Cueva da lui fondato e gestito, padre Francesco Cavallini: «Ci piace lavorare con i ragazzi su due livelli. Il primo, quando parlo di condizione giovanile ed è trasversale ai ceti sociali, è la mancanza di un senso della vita forte. Questo li costringe a cercarsi delle identità forti, come quelle della malavita. D'altra parte è anche un luogo per portare avanti progetti concreti, in cui portiamo avanti sia percorsi individuali per fare scelte e introspezione e affrontare la vita in modo profondo, che azioni per fare da collettore per il volontariato».
Cavallini fa poi un riferimento alle proteste giovanili nate in occasione dell'omicidio di Paolo Taormina, avvenuto in un locale del centro: «In molti protestavano, ma poi bisogna chiedersi quanti sono disposti a fare i volontari nel proprio quartiere. Questo è il punto: trasformare il dissenso in azione concreta. Questo ci coinvolge tutti, tutta la cittadinanza, e devo dire che c'è una parte molto attiva di Palermo in questo senso».
«La bellezza di Palermo è anche nel buio»
Per Salvo Piparo, «la bellezza è raccontare il mondo nella sua vastità e nella propria lingua. Questo è un punto di partenza, dalle cose vicine possiamo arrivare a cose lontane. La bellezza di Palermo arriva anche dal suo buio: anni fa nel blackout ricordo di aver visto una bellezza, la città è bella anche al buio, si avverte anche al buio la sua bellezza. È bella nelle sue contraddizioni, quando riesce a vedere la bellezza anche nella bruttezza. Dunque promuovere gentilezza e bellezza del linguaggio è fondamentale, e proprio partendo dalla Cueva vogliamo lanciare questa idea a tutta la città: la gentilezza come arma».
Il sovrintendente del Teatro Massimo inizia il suo ragionamento dicendo che il teatro è un simbolo per la città: «Si trova in centro - dice - e poi quella scala monumentale diventa un teatro greco, con persone e ragazzi che si siedono sui gradini. È uno scambio continuo con la città. Poi essendo un teatro noi cerchiamo di proporre il modello musicale: i musicisti devono accordarsi e creare una trama nel rispetto reciproco, se no il suono non si può generare. Il modello artistico è quindi un modello di pedagogia condivisa basata su rispetto e non violenza, e per trasferirlo a tutti non ha bisogno di parole, perché questo è il bello della musica. Bisogna fare in modo che questo diventi un esperimento sociale, riuscendo a infettare la società di arte».
Quando la bellezza è nelle idee
Antonio Tancredi Cadili è il più giovane puparo in Sicilia: quattordici anni, ha iniziato all'età di tre e a nove si è esibito per il presidente della Cina in visita a Palermo. Per lui, la bellezza di Palermo è anche da trasmettere: «La nostra società sta cambiando - dice - anch'io uso telefonino e social come tutti gli altri ma voglio dire che ogni cosa deve avere un suo limite, e i limiti devono essere trasmessi dalla famiglia, dalla scuola dove la famiglia è assente, e trasmettere la bellezza, fare arrivare ai giovani la bellezza di Palermo. Il fatto è che bisogna innanzitutto capire con cosa ci stiamo confrontando e poi tutti insieme andare avanti. L'opera dei pupi è una tradizione siciliana, e attraverso di essa ho voluto trattare una questione civile. Nella mia collezione ho due pupi importanti, i giudici Falcone e Borsellino: io non ero nato quando sono morti, ma proprio per questo ho il compito doppio di tramandare le loro idee, perché gli uomini passano ma le idee restano».
Di bellezza nel lavoro e nella società parla invece Giuseppe Di Forti, presidente di Fondazione Sicana di Caltanissetta: «Noi Palermo l'abbiamo scelta, l'abbiamo voluta adottare e la sentiamo anche nostra da un anno e mezzo, coltiviamo il territorio con tutto l'amore che mettiamo nelle cose e con la nostra ottica, quella della banca di credito cooperativo. Noi non abbiamo come missione remunerare il capitale: il nostro capitale è dormiente, non chiede dividendi né chiede di essere remunerato, la nostra missione è sostenere il territorio e le comunità che serviamo. Lo facciamo in una logica di sussidiarietà, la nostra attività arriva dove magari lo Stato non arriva o non può arrivare».
«I nostri interventi - prosegue Di Forti - non sono di sponsorizzazione o pubblicità, noi usiamo un fondo beneficienza e mutualità e lo facciamo in spirito di gratuità ad associazioni, enti e giovani che sosteniamo non nella logica del rientro commerciale ma di sostegno del territorio. Rendiamo fertile il territorio che seminiamo per averne un ritorno sociale, e dunque l'arte ha un ruolo importantissimo in questo disegno. Ad esempio di recente la fondazione ha "adottato" Gino Morici, palermitano che ha lasciato importanti segni anche a Caltanissetta e al Teatro Massimo, e di cui abbiamo fatto un museo»
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