Perchè no
Riforma Giustizia, Bono: «L’indebolimento delle toghe influirà sulla tutela dei diritti»
Gaetano Bono, il più giovane sostituto procuratore generale, attualmente è in servizio a Caltanissetta: «Sì alla separazione delle carriere, ma non così»
«La riforma non apporterà alcun miglioramento in termini di efficienza e di tempi della giustizia, ma determinerà, piuttosto, un ridimensionamento della magistratura, con effetti negativi sulla tutela dei diritti dei cittadini». È questo il giudizio espresso da Gaetano Bono, il più giovane sostituto procuratore generale, attualmente in servizio a Caltanissetta, affrontando il tema della riforma della Giustizia. Concetti che ha approfondito nel libro dal titolo «Riforma Nordio. Quello che c’è da sapere sulla separazione delle carriere e sulla riforma costituzionale», scritto dal magistrato avolese e in uscita proprio in questi giorni, anche nell’ottica di informare il cittadino in vista del referendum costituzionale della prossima primavera.
Pur essendo uno dei pochi magistrati favorevoli alla separazione delle carriere, lei è nettamente contrario a quella appena approvata dal Parlamento. Perché?
«Sostengo la tesi che si possa realizzare una separazione delle carriere dei magistrati avente molteplici effetti positivi, purché accompagnata da una serie di ulteriori interventi e, soprattutto, in presenza di rigorose condizioni che salvaguardassero e persino rafforzassero le garanzie costituzionali della magistratura, l'indipendenza del pubblico ministero dal potere politico e la sua cultura della giurisdizione. Condizioni che mancano nella riforma Nordio che rischia, anzi, di compromettere l'indipendenza della magistratura».
Quale potrebbe essere allora l'approccio ideale per sostenere la separazione delle carriere dei magistrati?
«Si dovrebbe guardare al processo di riforma come a un'opportunità per modernizzare il sistema giudiziario, facendo investimenti per adeguare ai flussi di lavoro il numero dei magistrati e dei dipendenti amministrativi, specializzare pubblici ministeri, giudici penali e civili, forze di polizia giudiziaria anche al fine di adattare indagini e riti processuali all'evoluzione tecnologica, ripensare il sistema giustizia nel suo complesso, tracciando una linea oltre la quale tutta una serie di questioni non dovrà essere più portata dinanzi a un tribunale, ma andrà risolta in via stragiudiziale o amministrativa».
Ci pare di capire che a suo parere manchi ancora un indirizzo politico che preveda investimenti nel settore giustizia...
«Per maturare un tal genere di approccio si dovrebbe partire da una seria autocritica da parte della politica, che dovrebbe ammettere le proprie responsabilità sul malfunzionamento della giustizia. Ma anche l’Anm, l’associazione nazionale dei magistrati dovrebbe fare una riflessione, avendo scelto, sin dall'inizio della legislatura, di contrapporre un “no” aprioristico a qualsiasi possibilità di riforma della magistratura. Se da un punto di vista scientifico si tratta di una presa di posizione degnissima, dal punto di vista dell'interesse generale si è rivelata un autogol».
Nel suo libro sulla riforma Nordio, lei parla di un un vizio di fondo del progetto del Guardasigilli appena approvato dal Parlamento tra le polemiche...
«La riforma non specifica nulla sulla concreta separazione delle carriere dei magistrati, demandando alle leggi attuative la riscrittura delle norme che regoleranno in concreto il funzionamento dei nuovi istituti. E il rischio è che in futuro la maggioranza parlamentare di turno possa modellare a proprio uso e consumo l’assetto della magistratura, limitando ulteriormente le garanzie di autonomia e indipendenza. Il pubblico ministero, in particolare, andrà incontro a un progressivo indebolimento delle proprie prerogative, poiché vedrà limitati i poteri di intervento nella fase delle indagini preliminari, soprattutto per quanto riguarda la direzione della polizia giudiziaria».
Ha gli stessi dubbi su altri pilastri della riforma, come il doppio Consiglio superiore della magistratura e l’Alta Corte disciplinare?
«Si intravede benissimo il ridimensionamento del ruolo del Consiglio Superiore della Magistratura. E ne risulterebbe compromessa la sua funzione costituzionale di organo di garanzia dell’indipendenza e dell’autonomia della magistratura. Inoltre, la riforma altererà l’equilibrio tra i poteri dello Stato, determinando un rafforzamento del potere esecutivo a discapito di quello giudiziario».