L'analisi
Ecco chi regge l'economia nelle province di Agrigento, Caltanissetta ed Enna
Petralia (Cisl): «Servono concertazione e dialogo per evitare lo squilibrio occupazionale»
Nelle strade di Agrigento, Caltanissetta ed Enna il tempo sembra scorrere più lentamente. Nei bar del centro, al mattino, i tavolini sono occupati soprattutto da pensionati che si ritrovano per leggere il giornale o scambiare due chiacchiere. I giovani, invece, sono sempre meno: molti hanno lasciato la loro terra per cercare lavoro altrove, altri vivono di occupazioni precarie, senza prospettive stabili.
I dati dell’Ufficio studi della Cgia di Mestre, basati su fonti Inps e Istat, confermano ciò che si percepisce camminando per queste città: nel 2024, il numero delle pensioni erogate ha superato quello degli occupati. Ad Agrigento ci sono oltre 147 mila pensionati contro poco più di 126 mila lavoratori; a Caltanissetta il divario è di circa 14 mila unità; a Enna di quasi 8 mila. In totale, nelle tre province, il saldo negativo è di 43.852 persone.
Dietro questi numeri ci sono storie di famiglie che vivono grazie alla pensione dei nonni, di ragazzi che partono con la valigia per non tornare, di piccoli negozi che chiudono perché la clientela diminuisce. È un equilibrio fragile, che rischia di trasformare i pensionati nell’unico pilastro di un sistema economico debole e frammentato.
La segretaria generale della Cisl, Carmela Petralia, lo dice con chiarezza: «Se il numero delle pensioni cresce più velocemente di quello degli occupati significa che si restringe la base produttiva, si riducono i contributi versati e aumenta il peso delle prestazioni sociali». È un campanello d’allarme che riguarda tutti, non solo gli anziani. Dove diminuiscono i lavoratori, crescono lo spopolamento, la precarietà, il lavoro nero e la fuga delle competenze.
Per invertire la rotta, la Cisl propone un patto territoriale per l’occupazione: un impegno condiviso tra istituzioni, parti sociali, scuole, università e associazioni. L’idea è quella di utilizzare al meglio le risorse disponibili – dal PNRR ai fondi europei – per creare lavoro vero, stabile e di qualità. Si parla di infrastrutture moderne, di filiere locali da valorizzare (agroalimentare, energia, cultura, edilizia green), di percorsi formativi legati alle potenzialità del territorio.
Ma non basta il lavoro. Serve anche rafforzare la sanità di prossimità, migliorare i trasporti pubblici tra i comuni, investire in turismo e cultura come strumenti di sviluppo e inclusione. Senza interventi strutturali, il rischio è quello di una desertificazione sociale ed economica: paesi sempre più vuoti, comunità che si spengono lentamente, territori che perdono la loro anima.
La conclusione di Petralia è un invito alla responsabilità collettiva: «Continuiamo a credere nella via della concertazione e del dialogo sociale, affinché questo squilibrio tra pensioni e occupati non diventi la normalità».